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Storie di Carcere

Donna evade dal carcere a Novara segando le sbarre della finestra

7 Settembre 1967 

La detenuta G.L. tentò l’evasione dal carcere giudiziario del Castello Sforzesco segando le sbarre della finestra.

La donna, nel cuore della notte, riuscì ad aprire il chiavistello della porta della sua cella e dopo essere arrivata nel corridoio, raggiunse la finestra posta a un metro e mezzo da terra e ne segò le inferriate.

Non si sa con quale strumento, ma senza dubbio fu un progetto portato avanti da qualche settimana.

Una volta eliminata la grata, la donna, si nascose nella nicchia di una finestra e successivamente con l’aiuto di una fune di nylon si calò per dieci metri fino all’orto sottostante. A questo punto, scavalcò un muretto e con un’altra corda di nylon raggiunse il fossato: qui sparì.

L’evasione fu scoperta il mattino seguente da una suora addetta alla distribuzione di caffè che ne diede l’allarme non trovandola in cella.

Come l’evasa abbia potuto procurarsi il seghetto e almeno una ventina di metri di corda di nylon rimane ancora un mistero.

Fonte: La Stampa, Archivio storico;   

Arrampicati sui tetti del carcere gettarono sassi contro gli uffici

14 Aprile 1971

Dodici detenuti del carcere di Novara tentarono una sommossa ma quasi tutti negano di aver partecipato.

I detenuti, sentendo delle urla provenire dalla cella di un galeotto appena internato, richiesero alle guardie una visita presso la sua cella, ma fu loro negato. Ciò scatenò una rivolta da parte del gruppo di uomini.

Alcuni di loro appiccarono un fuoco in cella, divelsero gli infissi, incitarono gli altri detenuti ad unirsi alla sommossa e prendere a sassate le finestre degli uffici, altri invece, tentarono la fuga.

La calma fu riportata nel giro di un paio d’ore con l’intervento dei vigili del fuoco, di agenti di polizia e carabinieri.

Quasi tutti gli indagati negarono di aver partecipato alla rivolta, soltanto G.P. ammise di aver appiccato il fuoco ai materassi della sua cella e O.G. di aver rotto il vetro di una finestra a forza di pugni.

In sette vennero condannati per danneggiamento, i restanti cinque vennero assolti con formule diverse.

Fonte: la Stampa, Archivio Storico

Scavi nel fossato alla ricerca del tesoro

11 Aprile 1960

Tre uomini e una donna intrapresero degli scavi nel fossato del Castello di Novara alla ricerca di una cassetta di preziosi.

Non si sa con certezza cosa abbia spinto il gruppo ad avviare le ricerche tra le mura del Castello. Forse la donna sarebbe stata informata, quando era ancora bambina, della esistenza di un antico tesoro da un vecchio mendicante che le si era affezionato.

Raggiunta la maggiore età, la donna misteriosa, iniziò le pratiche per poter scavare nel fossato del Castello, ma prima di avere le autorizzazioni passarono anni.

Ricevuti i permessi, si avviarono gli scavi e in qualche giorno la buca quadrata, di circa tre metri di lato, raggiunse una profondità di quattro metri.

Per giorni nessuno riuscì a parlare con i quattro; entrarono nel Castello alla mattina, scesero nel fossato dove nessuno potesse raggiungerli e si misero a scavare sotto gli occhi dei passanti. I tre uomini scavarono; la donna invece, diede loro le istruzioni consultando una cartina: forse quella che sarebbe potuta essere la “mappa del tesoro”.

Il 26 Aprile, dopo 15 giorni di scavi, vennero sospese le ricerche. La presenza del tesoro rimane tuttora un mistero: non è mai esistito o è ancora tra le mura del Castello?

Fonte: la Stampa, Archivio Storico

Mattone per mattone sgretolano il muro, ma di là li attende soltanto un’altra cella

14 Aprile 1972 

Dieci reclusi, ospiti della stessa cella, tentarono di evadere dal carcere di Novara demolendo il muro di mattoni.

I detenuti incuranti delle guardie, passarono ore a scavare una breccia nella parete della stanza per poi rendersi conto che si sarebbero trovati al punto di partenza. Non si accorsero infatti, che dopo

la parete di mattoni, fosse presente un’altra cella: tentativo fallito.

Per aprire la breccia i detenuti non usarono attrezzi particolari: si limitarono a togliere un mattone per riuscire ad estrarne tutta una serie. Un lavoro che sarebbe potuto essere portato a termine in breve tempo, ma sfortunatamente per loro, i secondini se ne accorsero immediatamente e diedero l’allarme.

Tutti i dieci carcerati coinvolti furono indiziati del reato di tentata evasione.

Fonte: la Stampa, Archivio Storico

Claretta Petacci, amante di Mussolini ospite del carcere di Novara

12 Agosto 1943

Claretta Petacci, l’amante del Duce Mussolini, venne rinchiusa nel castello-carcere di Novara insieme a gran parte della sua famiglia.

L’arresto avvenne a Meina e la famiglia venne portata nel carcere di Novara per ordine del maresciallo Badoglio.

Gli storici affermano che l’arresto dei Petacci fu completamente illegale. Il motivo della condanna fu che al padre, professor Francesco Saverio, venne addebitato l’incauto acquisto di un tappeto persiano. Claretta, data la situazione intrigata, prigioniera dell’umidità e del sudiciume, cadde in preda alla disperazione.

La sostenne una piccola donna novarese, Rina Musso, patronessa delle carceri e rappresentante del Vescovo.

In quella situazione disperante, Claretta riuscì a trovare una nuova dimensione umana e si trasformò da piccola borghese viziata in una donna vera.

Claretta intanto non ebbe più notizie certe del suo Benito fino all’8 settembre 1943; giorno in cui nacque la Repubblica Sociale italiana e i tedeschi occuparono il nord Italia.

La famiglia Petacci venne liberata il 17 Settembre 1943 e Claretta riuscì a ricongiungersi a Mussolini sul lago di Garda.

Sul tetto della prigione sotto un lenzuolo senza mangiare per due giorni e due notti

4 Agosto 1972

Un detenuto protesta per essere interrogato dal giudice dopo otto mesi di reclusione.

Dopo essere riuscito ad evadere dalla cella, F.L. raggiunse il tetto di uno dei padiglioni del carcere e servendosi di un lenzuolo, si accampò per due notti avviando la sua protesta. L’uomo si portò appresso un lenzuolo con cui si fece una rudimentale tenda per ripararsi durante il giorno dai raggi del sole.

Per i primi due giorni la rivolta non ebbe l’effetto sperato poiché nessuno si accorse della sua assenza. Il pomeriggio successivo decise di intensificare la sua protesta scagliando alcune tegole sulla strada, mossa che richiamò un gruppo di passeggeri al quale, F.L., espresse la richiesta di essere interrogato dal giudice.

Durante la notte l’uomo si decise a scendere stremato dalla fame. E’ stato immediatamente trasferito alle carceri di Mantova.

Fonte: la Stampa, Archivio Storico

Una romantica luna di miele: la fuga dei fidanzati banditi

31 Marzo 1971

Il detenuto A.G. nella notte, fuggì dal carcere giudiziario di Novara per raggiungere la sua amata R.D.

L’anno precedente, A.G. e R.D. furono sottoposti a 21 mesi di reclusione a causa di numerosi reati di coppia. R.D., però, essendo minorenne, potè beneficiare della condizionale e venne scarcerata.

Il 31 Marzo, A.G. impaziente di attendere la scarcerazione per ricongiungersi con R.D. evase dal carcere novarese durante una trasmissione televisiva, sfruttando il volume della televisione accesa. Subito dopo la fuga, raggiunse la fidanzata a Biella, rubarono 100mila lire e insieme scapparono per mezzo di un letto-vagone a Napoli.

Finiti i soldi ritornarono a Novara dove rubarono una 600, raggiunsero l’Ossola e dormirono una notte in un cascinale isolato sui monti. Il giorno seguente la coppia raggiunse una baita in Val Vigezzo, qui vennero catturati.

Dopo l’interrogatorio, il magistrato emise un mandato provvisorio d’arresto a carico di R.D. e dispose che i due giovani venissero insieme rinchiusi nelle carceri di Novara.

Fonte: la Stampa, Archivio Storico

Detenuto accusato di rapina si sposa in carcere a Novara

5 Febbraio 1965 

Due giovani, P.R e L.S si conobbero qualche mese prima che P.R. venisse arrestato per una serie di gravi reati. Durante la detenzione l’idea del matrimonio, così venne organizzata la cerimonia presso la cappella del carcere di Novara.

Le nozze, alle quali furono presenti una sessantina di detenuti, vennero celebrate dal cappellano del carcere. Fecero da testimoni il comandante delle guardie di custodia maresciallo F. e l’appuntato P.

Presente anche il procuratore della Repubblica dott. D.F.

Gli anelli furono donati dalle suore Ministre della carità, che aprirono per questo scopo una sottoscrizione. Una coroncina fu fatta pervenire agli sposi dal vescovo monsignor C. che inviò la sua benedizione. Dopo la cerimonia gli sposi si intrattennero con un ristretto numero di invitati per un breve rinfresco.

Fonte: la Stampa, Archivio Storico

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