Lo sapevi?
Sotto la firma di Bona – Cronache da un castello sforzesco
Bona di Savoia, Signora di Novara: la duchessa che comandava per lettera
Nel pieno del Quattrocento italiano, mentre corti e castelli si contendono il potere tra alleanze, matrimoni e guerre, una donna scrive. Scrive con inchiostro bruno su carta spessa, con mano elegante e ferma.
Firma ogni lettera con uno stile inconfondibile. E chi la riceve sa che non è solo una cortesia: è un ordine.
Quella donna è Bona di Savoia, duchessa consorte di Galeazzo Maria Sforza e Signora di Novara. Ma non è una dama d’apparato. È una figura politica attiva, capace di tenere insieme diplomazia, logistica e controllo militare. E il suo potere prende forma proprio tra le mura del Castello di Novara.
Nel 26 agosto 1470, un documento cambia le carte in tavola. È una lettera firmata da Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, indirizzata al castellano di Novara, Bergamino da Landriano.
In quella lettera, il duca ordina esplicitamente che si ubbidisca a Bona di Savoia in tutto ciò che riguarda la città e il Castello di Novara.
È la prima, chiara, delega di potere. Bona non governa “per conto” del marito, ma in suo nome, con autorità diretta.
È la conferma ufficiale del titolo che Galeazzo le aveva conferito in seguito alla nascita del primogenito Gian Galeazzo: Signora di Novara.
Appena quattro giorni dopo, il 30 agosto 1470, è Bona stessa a scrivere al castellano.
La firma che vale un sigillo
La lettera di Bona del 30 agosto è breve, ma fondamentale. È il primo documento conservato firmato direttamente da lei come Signora di Novara, rivolto a Bergamino da Landriano. E introduce un dettaglio importante: una formula grafica personale, una sorta di contrassegno con cui la duchessa avrebbe firmato tutte le lettere successive a quel castellano.
Quella firma, sempre uguale quando si rivolgeva al castellano di Novara, ma diversa da quella usata per gli altri castelli, non era una semplice formalità. Era una scelta. Un segno. Un modo per dire: “So chi sei, so dove scrivo, e so cosa ti sto affidando.”
Con quella grafia ferma e riconoscibile, Bona stabiliva un legame personale, quasi confidenziale, con chi riceveva le sue lettere. Non dettava ordini impersonali, ma costruiva una relazione fatta di fiducia, continuità e riconoscimento. Il suo modo di scrivere diventava parte del suo stile di governo: sobrio ma incisivo, costante ma calibrato sulle persone.
Ogni firma era un piccolo gesto di comando e di attenzione insieme, come una voce che cambia tono in base a chi ascolta, pur mantenendo sempre l’autorevolezza del ruolo. E in quell’alfabeto paziente e sicuro, c’era tutta la modernità di una donna che sapeva governare anche con l’inchiostro.
Un sistema di governo in miniatura
Negli anni tra il 1470 e il 1473, Bona scriverà decine di lettere autografe a castellani e ufficiali sparsi per il territorio, non solo a Novara, ma anche a Ghemme, Romagnano, Vaprio, Proh, Sillavengo, Castelletto Ticino, Momo, e persino Lodi, Meina, Candia, Sartirana, Locarno.
Secondo la prof.ssa C. Santoro, (“Un codice di Bona di Savoia” Archivio Storico Lombardo : Giornale della società storica lombarda (1955 dic, Serie 8, Volume 5, Fascicolo), siamo davanti a un vero e proprio sistema di governo territoriale gestito attraverso lettere: ogni castello riceveva messaggi personalizzati, con istruzioni operative e uno stile riconoscibile.
Questa non è solo amministrazione. È arte del comando. Bona conosceva le persone, i luoghi, le situazioni. E sapeva tenere insieme giustizia, controllo militare e gestione del quotidiano.
Novara, cuore del potere
Tutto questo culmina nella celebre lettera del 23 settembre 1472, indirizzata da Bona a Francesco da Trevi, nuovo castellano del Castello di Novara.
Una lettera lunga, dettagliata, che descrive la vita all’interno della fortezza con una precisione quasi logistica: scorte alimentari, disciplina dei soldati, accessi, vigilanza, e persino quante candele devono essere distribuite ogni mese.
Ma quella lettera, così ben strutturata, non arriva dal nulla. È il punto d’arrivo di un’abitudine al governo costruita in anni di lettere, relazioni e firme.
Una donna che scriveva per comandare
Bona di Savoia non indossava armature, ma faceva muovere uomini d’arme.
Non costruiva bastioni, ma decideva chi doveva sorvegliarli.
Non era ancora reggente — lo diventerà nel 1476 alla morte del marito — ma già governava come tale.
E tutto questo lo faceva con la scrittura: con lettere firmate a mano, con stili distintivi, con formule che cambiavano a seconda del castello e con una grafia elegante, ma che valeva più di uno stendardo.
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